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La cuccia Siciliana

Giuseppe Pitrè, famoso studioso di tradizioni popolari, nel suo libro di proverbi siciliani scrive : “Santa Lucia pani vurria, pani nu nn’hauiu, accussì mi staiu” – Santa Lucia vorrei del pane, ma pane non ho, digiuno mi sto-. 

Nel palermitano e nel Siracusano, il 13 dicembre di ogni anno, vi è l’uso ormai codificato di mangiare la cuccia, un dolce tipico siciliano a base di grano bollito.

Leggenda vuole che il 13 dicembre del 1646 approdò nel porto di Palermo una nave carica di grano, che pose fine ad una grave carestia che aveva affamato la popolazione.

Per poterlo consumare immediatamente il grano non venne macinato, ma bollito e mangiato. Da quel momento in poi, ogni anno in quel giorno, i palermitani – ma anche i siracusani, visto che la Santa è la patrona della città aretusea – il 13 dicembre rinunciano ai farinacei, consumando solo verdure, legumi, panelle e cuccìa, ovvero grano ammollato e lessato.

Troviamo per la prima volta l’esistenza del termine Cuccìa nel Vocabolario siciliano e latino di Lucio Scobar,  datato 1519, dove cuchia (il digramma ch era pronunciato c in antico siciliano) è spiegata “triticum decoctum” (grano bollito).

Nella seconda metà del 1700 il termine greco cóccos ha lo stesso significato di granum, mentre il nome “cuccia” viene derivato dalla voce siciliana “cocciu” (granello), chiamata appunto così perché «è fatta di granelli di frumento». 

Nell’800 viene proposta come derivante dal basso greco kokkía, aggiungendo in seguito che era chiamata cucchià in Arcadia. 

Gli studiosi moderni hanno definitivamente accertato la derivazione di Cuccìa dal greco ta ko(u)kkía (i grani), vedendovi la sopravvivenza del culto pagano di Demetra-Cerere, dea delle messi e quindi del grano, che in epoca cristiana fu sostituita dal culto di Santa Lucia.

In tutti questi casi, in cui il nome “cuccia” viene fatto derivare dal sostantivo “cocciu”, chicco, o dal verbo “cucciari”, cioè mangiare un chicco alla volta, la sua etimologia è comunque indissolubilmente legata al chicco di grano, alimento base della cuccia. 

La tradizione vuole che questo dolce, che rappresenta uno dei piatti più antichi della nostra cultura, sia distribuito a familiari, amici e vicini di casa.

Di seguito, l’originale ricetta conventuale della cuccìa, così come riportata da Maria Oliveri nel volume I segreti del chiostro. Storie e ricette dei monasteri di Palermo.

Ingredienti

500 g frumento, 

un pizzico di sale, 

1,5 kg ricotta di pecora freschissima, 

450 g zucchero semolato, 

300 g capello d’angelo, 

150 g cioccolato fondente (a gocce o a pezzettini), 

granella di pistacchio q.b., cannella in polvere q.b.

Procedimento

Ponete in acqua a bagno per tre giorni il frumento, prima della preparazione della cuccia, cambiando l’acqua ogni giorno. Scolate il grano e mettetelo in un tegame, ricoprendolo d’acqua e aggiungendo un pizzico di sale. Cuocete per 6-8 ore a fiamma bassissima, lasciando poi riposare nell’acqua di cottura, coperto con un coperchio, per tutta la notte. A parte, per preparare la crema, lavorate con la frusta la ricotta, precedentemente setacciata, con lo zucchero, in una ciotola abbastanza capiente. Aggiungete il capello d’angelo tagliato a piccoli pezzi e gocce di cioccolato fondente. Scolate bene il frumento ormai freddo e aggiungete alla crema, mescolando il composto. Servite in ciotoline, cospargendo con cannella in polvere, oppure granella di pistacchi o cioccolato fondente o diavolini.

Quale vino abbinare ? Secondo noi è perfetto con un Marsala, Superiore Semisecco come il nostro Mille!